Oggi...

19.02.2025

Oggi Gramigna ha un pò paura. Forse si sente solo un pò sola, forse un pò troppo sola. Come spesso accade. A volte ha paura che il fuori l'abbia dimenticata, e che dentro non ci sia poi molto da ricordare. Oggi ho paura dei perchè. Vi è mai capitato di aver paura delle domande che siete voi stessi, a porvi? Non dovremmo allora... eppure, quel lavorio sordido ma mai silente trova sempre il modo di arrivare a gettarci in faccia cartografie di progetti, di lanciarci addosso plastici e magari, se ci gira proprio male, di investirci con un escavatore. Lavori in corso dunque, si ma per cosa? << Voglio parlare con il direttore dei lavori>> esclamo a voce non troppo bassa, in questa scenetta che è solo nella mia testa. 

Io sono seduta sul divano, a gambe scomposte avvolta in un pigiamone rosa con fin troppe piccole miniature di Stitch dall'espressione adirata. << Voglio parlare con qualcuno che conta qui>>, ripeto. Nulla. La smerigliatrice smeriglia, il cacciavite è a caccia di quelle viti ribelli, rotolate via durante l'ultimo crollo, il trapano non è mai contento, sembra cerchi la luce con tutto quel forare. La chiave inglese mi vede e si incupisce, non ha più nulla da stringere. Solo la pinza mi guarda festosa, con tutte quelle scosse, ne abbiamo di oggetti nascosti da afferrare, da tirar via. Vorrei essere una pinza. È in una due metà. Non è costretta a cercare l'altra metà di se, è lei l'altra metà di se. Deve essere confortante sapere che anche se divisa sei comunque tutta intera e soprattutto funzionante. 

Ecco, io non mi sento Pinza da un po', un bel pò. La mia prima diagnosi è stata una scissione. C'eravamo io e questo medico, uno di fronte all'altro su delle poltroncine colorate stile pop art, e per la seconda volta nella mia vita mi ritrovo davanti al concetto di po-la-ri-tà. La mia prima volta è stata con Gilbert Lewis, classico malessere narcisista che, come sola differenza delle "anime inquiete" dei tempi nostri, ha che quando ti parla ammiccando di chimica non intende portarti a letto ma in un laboratorio a giocar entusiasta con provette, gel e quaderni pieni di schizzi che Rochard avrebbe dato di matto. E no, nessun happy ending, neanche con gel e provette. L a seconda, è stata ormai anni or sono, il camice c'era, ma la pop art è arrivata dopo, negli anni '50. Distrurbo bi-polare. Chimica: insufficiente. Ancora una volta. L'entusiasmo del camice però mi pare lo stesso: << ti prescrivo il litio ecco, questa però è una nuova molecola, il *** si dice abbia anche funzioni protettive sull'insorgere di malattie neurodegenerative; potrai avere effetti collaterali primari, fino a che il farmaco non entri a regime, poi, dovrebbe andar tutto meglio. Ecco qui, sono 100 euro. Mi faccia sapere se ha problemi, altrimenti, ci vediamo tra 15 giorni>>. 

Scendendo le scale, quel giorno, scendevo anche a patti con il fatto che la mia, di chimica, le mie molecole, le mie connessioni neuronali, beh, non erano poi del tutto così connessi. Arrivata al cancello di ingresso poi, mi ... un pensiero, ero in ritardo per il tirocinio in reparto. L'ospedale sempre pieno, era orario di visita, salii con calma i gradini di quel reparto, Psichiatria, primo piano. Per la prima volta la consapevolezza di essere scissa si, ma in più di due poli. Ero dentro e fuori. Paziente e addetta ai lavori. Infilai il camice di fretta, la mia storia per quel giorno finiva lì, entrata in reparto c'era la loro storia, dei miei pazienti. Solo e soltanto la loro.